Anche nella determinazione del compenso “speculativo” l’Avvocato deve sempre attenersi a criteri di proporzione e ragionevolezza. Resta tuttavia il dubbio di quale sia la misura massima del compenso pattuibile (Cass. S.U. Civili 25-11-2014 n. 25012)

Il caso è in effetti a dir poco “particolare”, ma i principi sanciti dalla sentenza della Cassazione Sezioni Unite Civili 25-11-2014 n. 25012, ove generalizzati, sarebbero l’ennesima dimostrazione della troppo grave incertezza in cui versa l’Avvocato nella determinazione del compenso.

Infatti, se è il troppo poco è sanzionabile a norma di codice deontologico (ma l’Antitrust e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dicono di no), è comunque pure sanzionabile il “troppo tanto”.
Per tutti siamo imprenditori tout court, ma quando ci comportiamo da tali veniamo bacchettati duramente.

La Suprema Corte rileva che l’art. 45 del Codice deontologico forense, nel testo modificato nel 2007, consentiva all’avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», purchè «proporzionali all’attività svolta», ma «la possibilità di pattuire tariffe speculative si accompagna quindi all’introduzione di particolare cautele sul piano deontologico, tese a prevenire il rischio di abusi» e quindi «la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del rimangono l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante».

Aggiunge la Cassazione che «l’aleatorietà dell’accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità» valutandone l’adeguatezza rispetto alle «tariffe di mercato» tenuto conto del «valore» e della «complessità» della lite.

Per cui, secondo i giudici di Piazza Cavour, correttamente il Cnf ha rilevato la manifesta eccessività e l’iniquità del compenso, attesa l’abnorme percentuale dello stesso in rapporto al risarcimento in una controversia “dall’esito ben prevedibile e di non così rilevante difficoltà“, non essendovi oggettivamente alcuna incertezza né in ordine al punto della responsabilità del danneggiante né in ordine alla quantificazione del danno (che non sarebbe potuto scendere al di sotto dell’importo del massimale assicurato).

Principi utili solo nei casi, appunto, abnormi.
E’ invece necessario che, piuttosto che sanzionare a posteriori, venga detto agli Avvocati a quale parametro massimo attenersi per non violare i vaghi precetti sanciti dalla Suprema Corte.
I parametri giudiziali non coprono nè tutte le ipotesi di compenso professionale, nè il loro rispetto è di per sè garanzia di proporzionalità e adeguatezza.
La tariffa forense non c’è più, ma allora – posto che a mio avviso andrebbe assolutamente reintrodotta – si dovrebbe per coerenza liberalizzare completamente la determinazione del compenso, sottraendo la questione a vaghi precetti deontologici ed assoggettandola alle generali tutele contrattuali del codice civile.

[Armando Argano - 27 novembre 2014]

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